A Napoli la Musica degli Ambulanti (Detta Pusteggia) è sempre stata fortemente sostenuta dal popolo, pensate che alcuni
autori si servivano del "Cuncertino" per provare le loro composizioni in pubblico (dai Caffè alle Trattorie dalle
Terrazze ai Vicoli).
Ancora oggi nei Quartieri si incontrano gruppi di Gavottisti e di Posteggiatori specialmente in via Roma (Toledo) in
prossimità della Galleria Umberto dove i Professori con la loro musica riuniscono tanta gente che li applaude e fa
richieste offrendogli poi quaccosa 'ndò Rast' (il Cappello o il Tamburello).
Potremmo quindi dire che i Posteggiatori hanno fatto da ponte tra due forme di culture: quella della strada (Cultura
Orale) e quella del salotto (Cultura Scritta o Colta) usando tecniche,ritmi e strutture poetiche diverse tra loro,non a
caso molti autori vissuti a cavallo tra l'800 e il '900 si ispirarono proprio a questi artisti per i loro
componimenti,riuscendo anche ad ingaggiarli in Feste o caffè (previa contrattazione ed accordi).
Questi gruppi poi si distinguevano dai Posteggiatori facendosi chiamare Gavottisti, la differenza fondamentale tra le
due categorie era data dalla formazione del Concertino, i Posteggiatori avevano un organico formato da 1 o 2 mandolini,
2 chitarre, 1 violino e 1 basso tuba o bombardone e voce.
I gavottisti avevano un diverso organico formato da: chitarra, mandolino, ottoni, violino, fisarmonica e voci.
Altra caratteristica dei Posteggiatori era l'uso di un gergo particolare detta "Parlèsia" composto da metafore,
suffissi, termini ricavati dal dialetto e dall'italiano, immagini descrittive.
Questa lingua (ancora oggi in voga negli ambienti musicali napoletani) non serviva a nascondersi bensì a comunicare tra
loro senza farsi comprendere dagli altri (annoterò un breve lessico in fondo) creando maggior coesione fra gruppi
diversi di Posteggia.
Bisogna soprattutto dire che i Posteggiatori non hanno mai elemosinato,infatti non prendevano moneta se non l'avessero
meritata (con dignità) grazie alla loro Arte.
"Dedico questo mio lavoro a quegli artisti che tanto mi hanno insegnato (visto che per quasi 10 anni ho esercitato
l'arte della Posteggia in molte città) da Piazza Carità al Pallonetto da via Toledo alla Villa Comunale, dallo Scoglio
di Frisio a Roma al Sorrento restaurant di Little Italy (New York) da Washington square alle Twins Tower con John 'o
siciliano dal Marchè au Fleur di Nizza alla Hauptbanhof di Francoforte dai 36 gradi sottozero di Colonia ai 43 gradi
all'ombra di Rio de Janeiro."
Grazie Assaie a vuie tutti.............Nando 18/11/02.
Ricordo poche feste popolari dove non ci fosse Nando Citarella: a Madonna dell'Arco, a Montemarano, a Pagani, a
Materdomini di Nocera, naturalmente. E mentre lo guardavo, lui suonava e cantava e ballava; insieme ai grandi maestri
della tradizione campana; con loro, come loro, come uno di loro. E' da qui, da questo rapporto intenso e costante con la
cultura popolare viva, che ha origine l'energia sprigionata nei concerti a testimonianza de che cosa veramente
significhi la festa per chi "è devoto", anche se è un musicista di professione e dunque necessariamente e continuamente
obbligato alla meditazione.
Certo, la musica tradizionale è solo la base, e non può non arricchirsi delle mille suggestioni sonore che attraversano
le orecchie non solo di Nando (che, ricordiamolo, è anche ricercatore e uomo di teatro, nonché, forse, l'ultimo erede
della gloriosa scuola dei "pusteggiatori", i musicisti di strada napoletani), ma anche quelle dei Tamburi del Vesuvio,
ai quali è affidato il compito di tradurre in impulso unitario la varietà dei ritmi e delle voci del mondo............
Giovanni Vacca
L’attività di questo insegnamento, pone come principale scopo lo stimolo e l’approccio alla ritmica e alle sue forme
espressive sia del corpo che della voce; inoltre si colloca nella prospettiva di far conoscere, a coloro che
partecipano, il senso della Comunità prendendo a pretesto la musica e la danza popolare con la sua funzione rituale e
terapeutica che serviva, e serve ancora oggi, a rendere più coeso e compatto il gruppo (contadino, operaio, pescatore,
ecc.).
Quindi alle forme ritmiche, si uniscono quelle danzate che, partendo dalle danze di festa, arrivano man mano alle danze
rituali che un tempo venivano usate a scopo terapeutico e che da alcuni anni sono ritornate protagoniste all’interno
delle stesse feste. A questo va aggiunto un lavoro sul corpo e sulle possibilità ritmico-coreutiche-vocali che spesso
vengono messe da parte per semplici motivi di inibizione ma che da sempre fanno parte del nostro patrimonio culturale e
ci legano alle nostre radici più profonde.
Attraverso una serie di esercizi di gruppo si lavora per verificare insieme, in un’esperienza di gruppo, condotta
secondo i canoni dell’improvvisazione, in vari settori espressivi, quanto le nostre potenzialità creative e di
conoscenza di noi stessi vengano potenziate dalla condivisione emotiva e soprattutto quanto le nostre radici etniche
siano presenti in ogni nostro gesto significativo anche se apparentemente casuale.